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Verba volant, scripta manent


Lo dicevano gli antichi e siccome papiri, pergamene e libri sono arrivati fino a noi, forse avevano ragione.


È sorprendente che persino uno dei materiali più difficili da conservarsi, come la carta, abbia avuto spesso la determinazione di attraversare i secoli. Questo è stato possibile per varie ragioni: una conservazione più o meno attenta nelle biblioteche – pubbliche o private che siano- congiuntamente con un uso non assiduo del libro in questione. Anche il tipo di inchiostro è determinante nella conservazione, così come una carta di qualità.


Con l’avvento della stampa – quando Gutenberg si divertì a stampare la Bibbia con i caratteri mobili- la richiesta di carta aumentò vertiginosamente e per sopperire alla richiesta, ma più la richiesta aumentava e più la qualità della carta scadeva.


Come quando si fabbricava il Nokia 3330 perché solamente in pochi potevano permetterselo, scoprendo poi come poter accontentare tutti ad un costo più basso e con una batteria che non supera i due anni di vita. Insomma, il mondo è sempre andato così e le carte moderne hanno iniziato a fare cilecca perché tutti hanno iniziato a stampare.

Victor Hugo, con lungimiranza, scriveva che il libro aveva sostituito la narrazione impressa nella pietra, ovvero il potere divulgativo – o di marketing, a seconda dei casi- non era più nelle sculture o nei grandi cicli di affreschi, ma impresso sulla carta.


Questo è stato un bene per gli studiosi che oggi possono analizzare sia cattedrali sia manoscritti, per evitare che vadano a fuoco le prime o che vengano distrutti dall’umidità i secondi.


Se nel 1400 la sfida era di trasportare la narrazione sulla carta, oggi ci domandiamo come fare per conservare l’infinità di dati digitali e virtuali che stiamo producendo. Saranno leggibili tra duemila anni o li potremmo ancora usare così come oggi possiamo leggere un papiro egiziano?





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