“Il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di comunicazione”, dice Bauman.
Lo abbiamo sperimentato tutti, una volta nella vita e quindi grazie tante, Bauman. Certamente non ci saremmo aspettati che anche la lunga storia d’amore tra l’Italia e la Cultura non godesse poi di così buona salute.
È una relazione duratura, quindi teoricamente solida. Eppure, chi ha un minimo di interesse nell’attività culturale – che sia di ambito umanistico o prettamente scientifico – ha notato una certa ostilità della società verso la cultura (intesa come conoscenza, quindi nel senso ampio del termine).
In tempi passati gli studiosi erano “rinchiusi” nei loro templi e quello che dicevano era quasi indiscutibile (perché i discorsi racchiudevano tecnicismi di cui non si capiva nulla o perché la gente si fidava ciecamente dell’uomo di cultura – o di scienza). Oggi gli studiosi e i Professori sono alla nostra portata: insomma, incontriamo il Professore Associato di turno che porta a passeggio il cane e gli diciamo che abbiamo scoperto che il Marco Aurelio del Campidoglio è una copia (e l’originale che fine ha fatto, ‘ndo sta?). Lui magari ci guarda anche un po’ schifato e non avrebbe tutti i torti. Ora forse, ci ritroveremo a parlare del palco che coprirà i sotterranei del Colosseo – assicurato essere non invasivo-.
Non che sia un male, attenzione. Forse, invece, non sappiamo sfruttare questa possibilità, questa connessione facile che abbiamo con chi, inevitabilmente, ne sa più di noi. Quando i Professori erano inarrivabili, desideravamo quello che non potevamo avere - il confronto con loro - e ora che l’abbiamo a portata di mano un po’ li giudichiamo come supponenti e lontani dalla realtà.
Quindi, l’Italia sa comunicare con gli uomini e le donne di Cultura? E viceversa, gli uomini e le donne di Cultura sanno comunicare con l’Italia?
Per passare il tempo:
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