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Ho pulito troppo?


“La perfezione si ottiene non quando non c'è nient'altro da aggiungere, bensì quando non c'è più niente da togliere.” Ci suggerisce Antoine de Saint-Exupéry.


Lo sanno bene anche i restauratori quando affrontano una pulitura, ovvero una delle operazioni più delicate nel restauro.


La bravura è, quindi, nel capire dove fermarsi: togliere strati e strati di sporco, magari mescolati al colore originale, con gli occhi di tutti puntati addosso e la diagnostica che può far poco perché spesso non è possibile campionare preliminarmente per avere una idea di cosa stia andando incontro il restauratore.


Basti pensare al restauro della Cappella Sistina, nel quale a furia di togliere – raggiungendo di fatto la perfezione suggerita da Saint-Exupery- vennero fuori i colori sgargianti usati da Michelangelo. Peccato però che nessuno si aspettasse che il Buonarroti avesse usato toni così accesi e la colpa ricadde sulla pulitura eccessiva degli affreschi.


E se la perfezione si raggiunge quando non c’è altro da aggiungere, in quel caso si decise anche di togliere tutti quei mutandoni che erano stati messi negli anni successivi per coprire le audaci nudità michelangiolesche. Si risparmiò solo qualche mutanda dipinta da Daniele da Volterra, soprannominato Braghettone non a caso.


Il restauro della Sistina fu il primo restauro accompagnato anche dalle analisi diagnostiche, sia prima che durante tutte le operazioni manuali sugli affreschi. E ancora oggi le sale sono monitorate per il controllo ambientale, e ovviamente sono state limitate tutte le candele che avevano contribuito a scurire l’affresco, ora in gran parte elettriche.


Nonostante il primo sconcerto e le critiche arrivate a pioggia, oggi quel restauro è considerato come il fiore all’occhiello della conservazione dei Beni Culturali.






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