Gli ultimi anni hanno visto la valorizzazione del Patrimonio Culturale al centro delle discussioni culturali. La valorizzazione ha certamente dato i suoi frutti – in tempi pre covid e in parte anche durante la pandemia–.
Anche ora che si sta lentamente uscendo dalla pandemia e i viaggi sono permessi, il nostro paese rimane una scelta primaria per le vacanze ed il sovraffollamento di quest’estate ne è stato un esempio palese.
C’è da chiedersi, però, se dietro alla valorizzazione, che dovrebbe essere la punta dell’iceberg, ci siano azioni di tutela e conservazione dei Beni, in quanto tali attività sono, invece, alla base di tutte le successivi passi.
Negli anni passati, il turismo di massa è stato oggetto di forti critiche persino a livello internazionale e in paesi come la Spagna e la Francia. Ciò accade perché inevitabilmente ciò che si usa si consuma, e i Beni Culturali non sono esenti da questo meccanismo di invecchiamento. Servirebbe, dunque, accertarsi che vi siano piani strategici di tutela e conservazione per poi lasciare che un sano turismo ne possa usufruire.
D’altronde la valorizzazione passa anche dalla conservazione e si possono aiutare a vicenda: l’interesse verso le indagini scientifiche sui materiali culturali è cresciuto molto, i visitatori spesso si fermano, quando possibile, ad osservare gli interventi sia di diagnostica che di restauro quando sono visibili al pubblico. In questo caso, uno degli esempi è il restauro – preceduto da analisi diagnostiche – della Resurrezione di Piero della Francesca (Museo Civico San Sepolcro, Arezzo), nel quale l’opera è rimasta visibile al pubblico durante l’intero iter di restauro.
Forse la verità è che non esiste valorizzazione senza conservazione e viceversa.
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